Cultura Arbëreshë

Titolo: Cultura Arbëreshë
Origini: XV secolo

Localizzazione: Barile, Provincia di Potenza, Basilicata, Italia
Tipologia: Comunità etnica - cultura e tradizioni arbëreshë

Descrizione 

La comunità arbëreshë di Barile affonda le sue radici nella migrazione di gruppi albanesi nel XV secolo, in risposta all'invasione ottomana nei Balcani. Questi migranti si stabilirono in diverse località d'Italia, tra cui Barile, portando con sé la loro lingua, religione e tradizioni. La fondazione di Barile nel 1462 rappresenta un importante esempio di resistenza culturale, poiché la comunità ha mantenuto intatte le proprie usanze nonostante le influenze esterne.

Gli Arbëreshë sono una minoranza etno-linguistica presente in Italia, distribuiti in un'area geografica chiamata “Arberìa”, un arcipelago di circa cinquanta isole linguistiche tra gli Appennini abruzzesi e la Sicilia. Le comunità albanofone si trovano nell'Italia centro-meridionale, in sette regioni: Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Sicilia e Calabria. Gli Italo-Albanesi discendono dai gruppi migratori che iniziarono a trasferirsi in Italia dopo la morte dell'eroe nazionale albanese Giorgio Castriota Scanderbeg, incentivati dalla politica di ripopolamento di Alfonso I d’Aragona e dall'invasione turca dell'Albania nel 1435, che proseguì fino al XVIII secolo. Questa frammentazione territoriale caratterizza l'Arberìa.

Il casale di Barile esisteva già all’inizio del XIV secolo; infatti, un documento del 1332 menziona i casali di "Barrilis" e Rionero. Tuttavia, il paese si sviluppò principalmente tra il XIV e il XVII secolo con l'arrivo degli albanesi, che giunsero in quattro diverse ondate migratorie. Alcuni autori collocano la fondazione di Barile al 1479, ritenendo che i primi albanesi arrivarono dopo la caduta di Scutari in mano ottomana, ma questa informazione non trova riscontro nei documenti coevi.

Nel 1534, 100 famiglie greco-albanesi provenienti da Corone, Modone, Nauplia e Patrasso nella Morea si insediarono a Barile su ordine dell'imperatore Carlo V, che affidò al capitano degli stradioti Lazzaro Mathes il compito di sistemare i profughi. Nel 1597, altre 30 famiglie, inizialmente collocate a Melfi, si trasferirono a Barile a causa di conflitti con la popolazione locale. Un'ultima migrazione avvenne nel 1647, quando un gruppo di esuli da Maina, nella Morea, sbarcò a Otranto e successivamente si stabilì a Barile.

Gli italo-albanesi di Barile mantennero il rito greco-bizantino fino al 1627, quando fu abolito da Deodato Scaglia, Vescovo di Melfi, a causa della mancanza di sacerdoti di tradizione bizantina e dei conflitti con la popolazione autoctona.

La lingua parlata a Barile, l’arbërisht, è un dialetto dell'albanese che si è evoluto nel corso dei secoli, conservando elementi linguistici antichi. La lingua arbëreshë è un simbolo di identità culturale e viene utilizzata non solo nella vita quotidiana, ma anche nelle cerimonie religiose. Le generazioni più giovani vengono incoraggiate a imparare e usare l'arbërisht, contribuendo così alla sua preservazione. In alcune scuole locali, vengono attivati corsi di lingua per mantenere viva la tradizione linguistica.

Le feste religiose giocano un ruolo fondamentale nella comunità arbëreshë di Barile. Tra le celebrazioni più significative ci sono il Natale e la Pasqua, con processioni, canti e preghiere in arbërisht. Particolarmente sentita è la Sacra Rappresentazione del Venerdì Santo, un evento che coinvolge l'intera comunità.

La gastronomia di Barile riflette la cultura arbëreshë. Piatti tradizionali includono le "pite", torte ripiene di ricotta, spinaci o carne, e la "tavë", un piatto a base di carne cotta in forno con verdure. Il vino e l'olio d'oliva locali sono prodotti tramandati da generazioni.

La comunità di Barile è attivamente impegnata nella preservazione della propria identità culturale. La Settimana della Cultura Arbëreshë è un evento annuale che promuove la lingua, la musica e le tradizioni attraverso spettacoli, conferenze e laboratori. Proverbi arbëreshë, spesso trasmessi oralmente, offrono saggezza popolare e insegnamenti morali.

Musica e danza tradizionali sono elementi essenziali delle celebrazioni. Le danze folkloristiche, come il "tropoja" e il "valle", vengono eseguite durante festività e matrimoni, mentre la musica si avvale di strumenti tradizionali come la lira e la fisarmonica.

La cultura arbëreshë di Barile rappresenta, dunque, un mosaico di tradizioni, lingua, gastronomia e arti che riflettono una storia di resistenza e identità. La Basilicata ospita altre comunità arbëreshë, tra cui Ginestra, San Chirico Nuovo, San Costantino Albanese, San Paolo Albanese, Brindisi di Montagna e Maschito. Queste comunità condividono tradizioni simili, contribuendo alla ricchezza culturale della regione. Un esempio di valorizzazione è il progetto "We are arbëresh", che coinvolge diversi comuni arbëreshë della Basilicata per promuovere la cultura, le tradizioni e i prodotti enogastronomici locali.

I cognomi di origine albanese più diffusi a Barile sono: Barbaro, Belluscio, Botte, Cappa, Carnevale, Caselle, Croce, Fusco, Giuliano, Mazzeo, Mecca, Nastasia, Pascente, Pasternoster, Rabesco, Saracino, Schirò, Sciaraffa, Solazzo, Zambelli.

Giorgio Castriota Scanderbeg

Giorgio Castriota, noto come Scanderbeg, è una figura di spicco nella storia albanese del XV secolo. Nato intorno al 1405 a Sinë, nel distretto di Mat, è celebrato come l'eroe nazionale dell'Albania per la sua tenace resistenza contro la dominazione turca.

In giovane età, fu inviato come ostaggio alla corte del sultano Murad II, dove venne convertito all'Islam e formato militarmente a Edirne. Qui gli fu attribuito il nome Iskander, in riferimento ad Alessandro Magno, e il titolo di bey, da cui deriva il nome Scanderbeg.

Nel 1443, durante la Battaglia di Niš, Scanderbeg disertò l'esercito ottomano e tornò in Albania, dove guidò una rivolta per riconquistare l'indipendenza dei territori albanesi. Nel 1444 fondò la Lega di Lezhë, un'alleanza tra i principati locali che si oppose strenuamente all'espansione dell'Impero turco. Grazie alla sua abilità strategica e alla sua determinazione, riuscì a contrastare numerosi assedi e a difendere il paese per oltre vent'anni, ritardando l’avanzata turca nei Balcani e in Europa.

Scanderbeg morì il 17 gennaio 1468 ad Alessio (oggi Lezhë, Albania), lasciando un’eredità indelebile come simbolo di coraggio e libertà. Il suo ricordo è ancora vivo nelle tradizioni albanesi, e numerosi monumenti gli sono stati dedicati in tutto il mondo, tra cui una statua equestre a Roma, situata in Piazza Albania.

Alfonso I d'Aragona

Alfonso I d'Aragona, noto anche come Alfonso il Battagliero, nacque intorno al 1073 a Hecho, in Aragona, e morì il 7 settembre 1134 a Poleñino. Figlio del re Sancho Ramírez e di Felicia di Roucy, salì al trono d'Aragona e di Pamplona nel 1104, succedendo al fratello Pedro I.

Nel 1109, sposò Urraca di León, unendo così i regni di León, Castiglia e Galizia sotto un'unica corona. Durante il suo regno, Alfonso si distinse per le sue numerose campagne militari contro i musulmani, guadagnandosi il soprannome di "Battagliero". Tra le sue imprese più celebri vi è la conquista di Saragozza nel 1118, che segnò un punto di svolta nella Reconquista. Successivamente, estese i suoi domini conquistando città come Ejea, Tudela, Calatayud, Borja, Tarazona, Daroca e Monreal del Campo.

Tuttavia, il suo regno fu segnato anche da conflitti interni, tra cui un matrimonio annullato con Urraca e tensioni con la Chiesa, in particolare con gli ordini cistercensi. Alla sua morte, il regno fu diviso tra i suoi successori, con Ramiro II d'Aragona che divenne re d'Aragona e García Ramírez di Navarra che divenne re di Navarra.

Carlo V d’Asburgo

Carlo V d'Asburgo (1500-1558) è stato uno dei sovrani più influenti del XVI secolo, governando un impero che si estendeva su vasti territori europei e oltreoceano. Nato il 24 febbraio 1500 a Gand, nelle Fiandre, era figlio di Filippo il Bello d'Asburgo e di Giovanna la Pazza di Castiglia, e nipote dell'imperatore Massimiliano I d'Asburgo e dei re cattolici Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia.

Nel 1516, alla morte del nonno Ferdinando d'Aragona, Carlo divenne re di Spagna, ereditando i regni di Castiglia e Aragona, insieme alle ricchezze delle colonie americane. Nel 1519, dopo la morte dell'imperatore Massimiliano I, fu eletto imperatore del Sacro Romano Impero, unificando sotto il suo dominio territori come l'Austria, la Borgogna e i Paesi Bassi.

Durante il suo regno, Carlo V affrontò numerose sfide politiche e militari. Le sue ambizioni espansionistiche lo portarono a confrontarsi con la Francia in una serie di guerre d'Italia, culminate nella battaglia di Pavia del 1525, dove il re francese Francesco I fu catturato. Nel 1527, le truppe imperiali saccheggiarono Roma, un evento che segnò profondamente l'Europa.

Sul fronte religioso, Carlo V si trovò a fronteggiare la Riforma protestante, un movimento che minacciava l'unità religiosa dell'Impero. Nonostante gli sforzi per reprimere le idee di Martin Lutero, la diffusione del protestantesimo portò alla Pace di Augusta del 1555, che sancì la divisione religiosa dell'Impero.

Nel 1556, stanco e deluso, Carlo V abdicò, dividendo i suoi domini tra il figlio Filippo II, che ricevette la Spagna e le colonie americane, e il fratello Ferdinando I, che divenne imperatore del Sacro Romano Impero. Si ritirò nel monastero di Yuste, in Spagna, dove morì il 21 settembre 1558.

Lazzaro Mathes

Lazzaro Mathes, noto anche come Lazar Mati, è stato un nobile albanese del XVI secolo, originario di Shkodër. Dopo l'assedio ottomano della sua città natale, si rifugiò nel Regno di Napoli, dove prestò servizio come capitano stradiota sotto il re Ferdinando III. Per i suoi meriti militari, ottenne il permesso di stabilire famiglie albanesi rifugiate in varie località del regno, tra cui Maschito, Trivigno, San Chirico e San Costantino Albanese. Questi insediamenti divennero centri vitali per la comunità arbëreshë, preservando la cultura e le tradizioni albanesi in Italia.

A Maschito, la figura di Lazzaro Mathes è celebrata attraverso la rievocazione storica de "La Retnes", un evento annuale che ricorda le origini albanesi del paese. Durante questa manifestazione, i partecipanti, vestiti con abiti del XVI secolo e armati con armi storiche, ricreano la vita dei soldati mercenari sotto il comando di Mathes, rafforzando l'identità culturale della comunità.

Deodato Scaglia

Deodato Scaglia (29 aprile 1592 – 9 marzo 1659) è stato un vescovo cattolico italiano, membro dell'Ordine dei Predicatori (Domenicani). Nato a Brescia, era nipote del cardinale Desiderio Scaglia, anch'egli domenicano. Conseguì il grado di magister sacrae theologiae a Bologna.

Il 19 gennaio 1626, papa Urbano VIII lo nominò vescovo di Melfi e Rapolla, incarico che ricoprì fino al 1644. Durante il suo episcopato, promosse la riforma tridentina nella diocesi, convocando un sinodo diocesano nel 1635 per implementare le disposizioni del Concilio di Trento. Inoltre, si distinse per l'impegno nella cura pastorale e nella promozione della disciplina ecclesiastica.

Nel 1644, Deodato Scaglia fu trasferito alla diocesi di Alessandria, dove servì fino alla sua morte nel 1659. Oltre al suo impegno pastorale, redasse un manuale inquisitoriale intitolato "Prattica di procedere con forma giudiciale nelle cause appartenenti alla Santa Fede" (1637) e "Theorica di procedere tanto in generale, quanto in particolare ne' casi appartenenti alla Santa Fede" (1639), rimasti manoscritti.

Durante il suo episcopato a Melfi, Deodato Scaglia fece dono alla Cattedrale di Santa Maria Assunta di 25 reliquie di santi martiri, che furono collocate in reliquiari e custodite nelle tre bacheche divise a scomparti.

Fonti e Riferimenti Bibliografici

Sitografia

Codice identificativo: BARL-009

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